La XXIII Collettiva Internazionale di Pittura, Scultura e Fotografia del progetto Arte a Palazzo, ritrova, in occasione del Premio Galleria Farini per Londra, l’artista Dario Romano con l’opera …. ???!.. che giunge direttamente dalla capitale inglese, laddove la Farini Concept ha tenuto la sua prima mostra britannica e dove farà ritorno in autunno.
Il dipinto …. ?2?!. è il lavoro di Romano, che il pubblico ed il lettore hanno bene imparato a conoscere, così come il suo stile ed il peculiare linguaggio, potrebbero senza dubbio entrare in un alveo che trova nella sintetizzazione di alcune linee guida, una individuazione dei punti chiave della sua ricerca. Certamente tra i fili conduttori della produzione del pittore bresciano v’è l’amore per il continente africano e che si rivela nella scelta tematica che, molto spesso, si lega all’universo animale, ma con ironia.
È altrettanto vero, infatti, che al Romano non interessa porre un parallelo con la tradizione dell’arte africana, quanto, piuttosto, con una grammatica che si traduce in metafora antropologica e sociologica svolta attraverso una fenomenologia che si spinge un passo oltre, virando verso una ironica modulazione di icone, archetipi ed immagini del contemporaneo, mediante cui l’artista agisce per la costruzione di una tipologia di rappresentazione che è, al contempo, narrazione per ossimoro.
Il paradosso tramite cui opera Dario Romano acquisisce un valore intrinseco allorquando necessita di entrare in connessione con il messaggio che si desidera veicolare. Osservando il dipinto in oggetto, si noterà sin da principio che c’è qualcosa di decisamente strano, quanto meno rispetto alle regole dell’immaginario comune o alla sua ovvia conoscenza. Una scimmia ed un topo sono i protagonisti in primissimo piano della scena, osservatori dubitanti del mondo umano — che è quello della fruizione pittorica — con cui si apre il dialogo tra i due livelli ontologici. Mediante questo escamotage, Romano osserva il nostro tempo con una sana dose di disillusione ed acuto sarcasmo che si racchiude nelle scelte raffigurative, nelle scene che compongono i propri dipinti, spesso stranianti ed evocativi.
L’elemento umano è abbandonato in favore di una affezione per il mondo animale — alla maniera di Esopo e Fedro — e da tale decisione si origina una riflessione complessa, rivolta ad una componente decisamente ravvisabile nella dimensione dei processi della psiche ma che non smette mai i panni dell’irriverenza sarcastica.
Il gioco che l’artista pone in essere, nella sua serierà, affronta il pubblico con un insieme di processualità di matrice pittorica ma anche intellettuale, tale da inserirsi in una dialettica iperrealista da un punto di vista stilistico e metaforica da un punto di vista ontologico. Il tutto trova il proprio trait d’union nella sospensione che la pittura di Romano reca, nel suo iperrealismo che si sfuma in un non-finito che ha tutta la volontà di farsi carico di una migrazione speculativa e di spostamento semiologico.
Rapporti che si ampliano quando si tenderà al rapporto tra titolazioni ed immagini rappresentate. Nel caso specifico, poi, il titolo, concernente in una sequela di punti di interpunzione che svelano un dubbio allibito, rende l’intero processo concettuale alla base dell’atto maieutico, qualcosa di davvero sbalorditivo e pronto a aprire un confronto immediato e diretto tra le parti.
Il senso di ossimoro si impadronisce della tela e rivela, tuttavia, una inusitata serie di spunti di riflessione che prescindono, poi, da altri fattori, pur riversando in essi la matrice epifanica e di idea dalla quale Dario Romano avvia il proprio personale percorso di lettura del presente.